Una lunga azione di pressione unita ad un’efficace campagna di comunicazione promosse da alcune associazioni di familiari di persone con sindrome di Down, ha sortito un risultato insperato presso INPS relativamente agli accertamenti sanitari cui questi sono soggetti ai fini del riconoscimento dell’invalidità civile.

All’INPS, come noto, sono affidati i compiti di verifica ordinaria su tutti i verbali di accertamento dell’invalidità, nonché la verifica sulla permanenza dei requisiti sanitari (es. Piano straordinario di controllo sulle cosiddette “false invalidità”).

Dopo le polemiche e le interrogazioni parlamentari insorte dopo l’emanazione, da parte di INPS, di Linee guida operative sull’invalidità civile che rivedono fra l’altro, per via amministrativa, i requisiti per l’ottenimento dell’indennità di accompagnamento già fissati dal Legislatore, l’Istituto dirama il 9 dicembre 2010 il Messaggio 31125 in cui fornisce indicazioni rispetto alle persone con sindrome di Down.

Quali novità

Precisa innanzitutto l’INPS che “nei confronti dei soggetti affetti da sindrome di Down, interessati da accertamenti sanitari per invalidità civile, deve essere riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento.”

Primo effetto: viene riconosciuto – unico caso nel panorama dell’invalidità civile – un automatismo fra una specifica patologia e la concessione dell’indennità di accompagnamento.

La seconda indicazione del Direttore generale di INPS è altrettanto interessante: sia in fase di verifica ordinaria (quella che segue l’accertamento dell’invalidità da parte della Commissione ASL) che in fase di verifica sulla permanenza dei requisiti sanitari (es. verifiche straordinarie) “deve essere applicato, ove possibile, il DM 2 agosto 2007 (…) anche su base meramente documentale, gli interessati devono essere esclusi da qualsiasi visita di controllo sulla permanenza dello stato invalidante (…).”

Questo significa che:

  • a) ai verbali che arrivano dalle ASL per la verifica ordinaria, viene applicato il Decreto Ministeriale 2 agosto 2007 quello che impone l’esenzione da qualsiasi successiva verifica; inoltre, sulla base della documentazione sanitaria da cui risulti la sindrome di Down, l’INPS non procede a visita diretta come invece sarebbe nelle sue facoltà;
  • b) nel caso di visite volte alla verifica sulla permanenza dei requisiti sanitari (ad esempio gli attuali controlli sulle “false invalidità”) è sufficiente la presentazione della documentazione sanitaria comprovante la sindrome di Down (INPS non dice quale sia) per evitare la visita diretta e per vedersi “attribuire” il Decreto Ministeriale 2 agosto 2007.

 

Normative Precedenti

Dalla lettura del nuovo Messaggio INPS, pur riconoscendone l’intento agevolativo, possono derivare molte considerazioni.

L’INPS, esprimendosi sui presupposti sanitari per la concessione dell’indennità di accompagnamento interviene – con un atto amministrativo – su criteri fissati dal Legislatore con il Decreto del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1992.

La normativa vigente concede alle Commissioni preposte all’accertamento un considerevole margine valutativo. Il riferimento principale per la “quantificazione” dell’invalidità è ancora il Decreto del Ministero della Sanità del 5 febbraio 1992. A questo Decreto sono allegate le tabelle che elencano le principali patologie, menomazioni ed affezioni, indicando per ognuna una percentuale fissa di invalidità o un intervallo di percentuali. La Sindrome di Down (indicata con il sinonimo di Trisomia 21) ricorre due volte in queste tabelle: “Trisomia 21 (codice 9337)” a cui è attribuibile il 75%, e “Trisomia 21 con ritardo mentale grave (codice 1009)” a cui viene attribuita una percentuale fissa del 100%.

Non è una distinzione di poco conto perché incide sulla successiva attribuzione di provvidenze economiche. Se il riconoscimento è del 100% di invalidità spetta la pensione; se è inferiore spetta l’assegno mensile di assistenza, sempre che la persona sia maggiorenne e non superi determinati (diversi limiti reddituali).

Ma essendo l’importo uguale, la vera questione è l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento, concessa solo in presenza di un’invalidità totale e nel caso in cui la persona non sia in grado di svolgere autonomamente gli atti quotidiani della vita.

Nessuna disposizione prevede o impone che alle persone con Sindrome di Down sia da attribuirsi in automatico l’indennità di accompagnamento.

Il dibattito è piuttosto datato, tant’è che risale al 1997 una Circolare ministeriale (Ministero del Tesoro Direzione dei Servizi Vari e delle Pensioni di Guerra 26 marzo 1997, n. 30) che aveva come oggetto proprio la “Valutazione medico-legale della sindrome di Down in invalidità civile e requisiti per la concessione dell’indennità di accompagnamento.”

Si tratta di un atto amministrativo che tuttavia è di riferimento per chi svolge gli accertamenti medico-legali da parte delle Aziende USL.

Secondo quella Circolare la valutazione va effettuata caso per caso poiché “Indubbiamente non tutti i casi sono uguali, ma in un certo numero di soggetti osservati, si rilevano percentuali di invalidità inferiori al 100%.” Correttamente riconosce che il problema medico-legale non è quello di riconoscere l’infermità, solitamente ben evidenziabile sul piano clinico specie nelle forme tipiche, “quanto soprattutto quello di valutarne la diversa espressività morbosa e cioè la diversa gravità”.

Ma la Circolare si esprime anche sulla concedibilità dell’indennità di accompagnamento, precisando che è tutt’altro che scontata nelle Sindromi di Down.

Solo nel caso di condizioni primarie e/o complicate che rendono compatibile l’applicazione degli articoli di cui alle leggi n. 18/1980 e n. 508/1988 [quelle che hanno istituito l’indennità di accompagnamento, NdR], per il determinarsi dei relativi requisiti sanitari, è possibile concedere l’indennità di accompagnamento. Vanno allora specificate chiaramente nel giudizio diagnostico le motivazioni che giustificano l’eventuale riconoscimento (…).”

Secondo il Ministero “si tratta di stabilire a quale dei codici tabellari debba farsi riferimento e se coesistano i requisiti per l’applicazione della legge n. 18/1980 (indennità di accompagnamento) o, in subordine, quelli della legge n. 289/1990 (indennità di frequenza) mediante una valutazione approfondita delle patologie riscontrate (con particolare riguardo alla gravità del ritardo mentale e alle capacità nel porre in essere gli atti della vita quotidiana) tenendo conto dei costanti criteri di valutazione del concorso e/o coesistenza di altre infermità.”

 

Problemi applicativi?

Il Messaggio dell’INPS supera sia le indicazioni del Legislatore che quelle Ministeriali: ma per chi sono cogenti queste indicazioni?

Lo sono sicuramente per i medici INPS e per le procedure di verifica di cui abbiamo parlato. Ma quelle indicazioni non sono cogenti per le Commissioni ASL, pur integrate dal medico INPS. Queste continueranno ad applicare le indicazioni di legge e le indicazioni ministeriali. Anche se è pur vero che la decisione finale spetta ad INPS, potrebbero generarsi situazioni spiacevoli.

 

La situazione più bizzarra riguarda tutte le persone con sindrome di Down a cui – ad oggi – non sia stata concessa l’indennità di accompagnamento, ma solo la pensione o l’indennità di frequenza o l’assegno mensile di assistenza. Che fanno? Le ipotesi sono varie.

  1. Sperano di rientrare nell’ambito dei controlli straordinari sulle “false invalidità”; presentano all’INPS la documentazione sanitaria comprovante la sindrome di Down e ottengono l’indennità di accompagnamento e l’applicazione del Decreto ministeriale 2 agosto 2007.
  2. Richiedono una valutazione per aggravamento (che deve essere motivata e circostanziata) alla Commissione ASL. Questa può riconoscere o meno i requisiti sanitari per la concessione dell’indennità di accompagnamento, ma quando il verbale passa all’INPS per la verifica, l’indicazione dei requisiti viene modificata secondo le indicazioni della Direzione Generale. Sicuramente non è prevedibile un adeguamento automatico senza la richiesta dell’interessato.

Situazione ancora più bizzarra è quella che riguarda le persone con sindrome di Down appena “verificate” dall’INPS e a cui non è stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento. In questo caso vale la pena, appellandosi al nuovo Messaggio di INPS, presentare velocemente una istanza di riesame (per autotutela) all’INPS competente territorialmente.

 

Discriminazione

Se da un lato il Messaggio dell’INPS comporta un vantaggio per le persone con sindrome di Down, è altrettanto vero che rappresenta una discriminazione.

L’atto, apparentemente neutro, è omissivo nel non prevedere uguale trattamento per patologie di analoga o superiore gravità. Si pensi, solo per citare tre dei tanti esempi, alla sindrome di Angelman o alla sclerosi laterale amiotrofica o l’autismo grave.

La fattispecie rientra, quindi, nel concetto di “discriminazione indiretta” prevista dall’articolo 2 comma 3 della Legge 1 marzo 2006, n.. 67 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni) – contro la quale il Cittadino che ne subisce gli effetti può agire in giudizio anche con l’assistenza delle Associazioni riconosciute. Possono agire direttamente anche le Associazioni interessate.

Uno sguardo indietro

Conclusa la presentazione delle novità, vale la pena di ricordare che già un altro “automatismo” riguarda solo le persone con sindrome di Down: il riconoscimento dell’handicap. In quel caso però è stato lo stesso Legislatore ad intervenire in modo netto, introducendo l’unico automatismo fra una patologia (in questo caso una condizione genetica) e la condizione di handicap grave.

Il terzo articolo della Legge 104/1992 definisce “persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.” E precisa ulteriormente che “qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità.”

Fino all’entrata in vigore della Legge 289/2002 (1 gennaio 2003) le persone con Sindrome di Down per ottenere il riconoscimento di handicap dovevano essere sottoposte a visita presso la Commissione di accertamento operante presso la propria ASL che poteva dichiarare la persona Down handicappata (art. 3 comma 1 Legge 104/1992) oppure persona handicappata in condizione di gravità (art. 3 comma 3 Legge 104/1992).

Vale la pena di sottolineare che solo nel secondo caso i familiari hanno diritto ai permessi lavorativi retribuiti o alle agevolazioni fiscali sui veicoli o ad accedere altri benefici.

L’articolo 94, comma 3 della Legge 289/2002 stabilisce che la persona con Sindrome di Down può essere dichiarata, qualora ne faccia richiesta, solo persona con handicap grave.

 

Questo automatismo, che purtroppo e con scarsa equità non è riconosciuto per altre condizioni genetiche, viene spiegato nei primi periodi dell’articolo 94 della Legge 289/2002: “in considerazione del carattere specifico della disabilità intellettiva solo in parte stabile, definita ed evidente, e in particolare al fine di contribuire a prevenire la grave riduzione di autonomia di tali soggetti nella gestione delle necessità della vita quotidiana e i danni conseguenti (…)”.

Il Legislatore, quindi, ammette che riconoscere l’handicap grave, e sopratutto i benefici e le agevolazioni che derivano da questo riconoscimento, ha una una funzione di prevenzione alla riduzione dell’autonomia. Nella sostanza, anche se non sussistessero le gravi necessità assistenziali definite dal comma 3 del terzo articolo della Legge 104/1992, l’handicap grave viene riconosciuto lo stesso, per evitare la riduzione dell’autonomia. È un’affermazione di notevole rilevanza. Rimane la considerazione che questa volontà di prevenzione dovrebbe valere anche per altre patologie, condizioni, menomazioni vieppiù se riguardano minori.

 

Il risvolto di maggiore utilità risiede nelle procedure agevolate. Infatti il riconoscimento automatico di handicap grave può essere dichiarato oltre che “dalle competenti commissioni insediate presso le aziende sanitarie locali o dal proprio medico di base (…)”.

Unico obbligo per la persona: la presentazione del cariotipo e cioè della documentazione sanitaria che attesta inconfutabilmente la condizione genetica. Quindi: in presenza del cariotipo che indica la sindrome di Down, la Commissione ASL non può che dichiarare l’handicap grave. Inoltre, per ottenere la dichiarazione di handicap grave è possibile evitare di presentarsi alla Commissione: viene infatti ammessa la possibilità di ottenere un documento di pari valore dal proprio “medico di base”, dizione quest’ultima superata che va riferita ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta.

Il Legislatore poi prevede (ben prima della Legge 80/2006) che – una volta ottenuta la certificazione di handicap – le persone con Sindrome di Down siano esentate da ulteriori successive visite e controlli.

 

Il Messaggio INPS, che giunge al termine di motivate polemiche ma superficiali riflessioni, genererà probabilmente un diffuso malcontento e forse dibattito. Verosimilmente la soluzione favorevole e razionale non la si trova affrontando con norme “ad personas” la valutazione medicolegale di questa o quest’altra sindrome o affezione, ma rivedendo profondamente e complessivamente i criteri di accertamento e di attribuzione delle provvidenze economiche alla totalità dei disabili, tenendo conto anche del progetto di vita e delle reali esigenze di autonomia delle persone.

Di admin

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